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L’eutanasia non è la strada

Comunità Pastorale

L’eutanasia non è la strada

di Dario Beretta, del MoVimento per la vita

Ci sono interventi che parlano dell’eutanasia come di una scelta di libertà, un passo positivo che libera dalla necessità di accettare i limiti imposti dalla malattia grave.
Diego Dalla Palma, 64 anni, da anni sofferente di artrosi, lo scorso aprile ha postato su Facebook dei commenti che hanno fatto molto discutere scrivendo nero su bianco quello che pensa sul fine vita: «Ho programmato l’eutanasia. Ho reso pubblica più di una volta questa mia riflessione – afferma il makeup artist – proprio perché voglio programmare lo spegnimento del mio esistere. Qualcuno vuole chiamarlo suicidio? E allora, accidenti!, chiamiamolo suicidio! Per me, ha un diverso significato. Scegliere il momento di morire per me è solo un pensiero luminoso, positivo e concreto per evitare, fra qualche anno, pietismi, dolori morali e fisici, umiliazioni, atroci torture e corse ad ostacoli continue».

Un dibattito controverso
Ci sono però anche interventi e proposte che fanno capire che giustificare l’eutanasia significa anche accettare la decisione di eliminare i malati più gravi, che sono considerati solo un costo e un peso per la società. La possibilità di “libera scelta” passo passo sparisce.
Peter Singer, che insegna Bioetica all’Università di Princeton ha scritto il libro “Practical Ethics,” pubblicato nel 1993. In quel testo proponeva la pratica dell’eutanasia non volontaria per «gli esseri umani incapaci di comprendere la scelta tra vita e morte, compresi i bambini gravemente malati, le persone che a causa di un traumatismo, una malattia o l’età avanzata hanno perso in modo permanente la capacità di comprendere i termini della scelta».

La malattia è un passaggio difficile
La malattia è comunque difficile da affrontare, anche quando si sente intorno la vicinanza e la solidarietà dei sani. Cosa diventerebbe in una società che ritiene il malato un “peso inutile”, e preme per toglierlo di mezzo?

Il caso Gran Bretagna
Non si tratta solo di “discorsi filosofici”. Ci sono già scelte di politica sanitaria che vanno in questa direzione. Il Sistema sanitario inglese (NHS) ha reso note a fine aprile 2015 le sue nuove linee guida. Esse incoraggiano i medici a sollecitare le persone che abbiano superato i 75 anni, sane o malate, a firmare una dichiarazione in cui rinunciano alla rianimazione in caso di malori gravi. La direttiva riguarda anche persone giovani che sono malate di tumore, che hanno un principio di demenza, una patologia cardiaca o polmonare grave.

Le altre strade da percorrere
L’invito al malato grave a “togliere il disturbo” comincia a diventare operativo. Ma si possono anche scegliere strade diverse. Lo scorso 5 marzo si è tenuta la 21°Assemblea generale della Pontificia accademia per la vita sul tema “L’assistenza agli anziani e le cure palliative”. Parlando ai partecipanti Papa Francesco ha ribadito il concetto della dignità della persona, che conta fino alla fine: «Ogni conoscenza medica è davvero scienza , nel suo significato più nobile, solo se si pone come ausilio in vista del bene dell’uomo, un bene che non si raggiunge mai “contro” la sua vita e la sua dignità. È questa capacità di servizio alla vita e alla dignità della persona malata, anche quando anziana, che misura il vero progresso della medicina e della società tutta».

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