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«La corona vuota», Damiano Chirico fa dialogare Shakespeare e Machiavelli

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«La corona vuota», Damiano Chirico fa dialogare Shakespeare e Machiavelli

Un dialogo tra due dei protagonisti più controversi del panorama teorico, politico e letterario della civiltà occidentale: Niccolò Machiavelli (1469-1527) e William Shakespeare (1564-1616). È ciò che costruisce Damiano Chirico nel libro “La corona vuota” (Liberedizioni, 240 pagine, 20 euro), in vendita da pochi giorni nelle librerie fisiche e online. «Il titolo – spiega Chirico – è tratto da un monologo del “Riccardo II” di Shakespeare nel quale vengono espresse la vacuità e la fragilità del potere» davanti alle contingenze.

Mettere in dialogo i due grandi autori, aggiunge, «consente di coglierne gli elementi di continuità, lasciando che si illuminino a vicenda». Il libro, spiega l’editore, «tratta del rapporto fra virtù e fortuna, dell’ineliminabile presenza di conflittualità nelle comunità umane e delle qualità che un leader politico, un principe, deve possedere, evidenziando come gli elementi di contatto tra questi autori possano tradursi in riflessioni in grado di rispondere a diverse sfide della teoria politica contemporanea».

Un ambito in cui Chirico si muove ufficialmente dal 2008, quando è stato eletto consigliere comunale, oltre ad essere tuttora segretario del Partito Democratico cittadino. È del 2021 la laurea in Scienze filosofiche alla Statale di Milano: «Il libro nasce dalla tesi di laurea. L’editore l’ha letta e mi ha proposto di farne una pubblicazione. Mi ha fatto molto piacere, peraltro, che non sia stato io a propormi, ma l’editore a cercarmi. Ho così fatto un lavoro di riscrittura del testo, in modo che fosse di più agevole lettura e il risultato è “La corona vuota”».

Il libro presenta così un dialogo tra brani scelti di Machiavelli e di Shakespeare, questi ultimi in lingua originale con traduzione in italiano. Inframmezzati dalle parole di Chirico che lega i testi li rende accessibili anche a lettori non esperti del tema.

Per amor di Dio, sediamoci sulla nuda terra
a recitar le tristi cronache della morte dei re:
come alcuni furon deposti, altri uccisi in guerra,
altri ossessionati dai fantasmi di chi avevan deposto,
alcuni avvelenati dalle mogli, o assassinati nel sonno:
tutti morti ammazzati. Ché entro la vuota corona
che cinge le tempie mortali di un re,
tiene corte la morte: e là s’insedia, beffarda,
irridendo al potere di lui, ghignando alla sua pompa,
concedendogli un breve respiro, una particina –
sovraneggiare, incuter timore, fulminar con lo sguardo –
facendolo pieno di sé, quanto di vuote illusioni,
come se questa nostra carne, prigione dello spirito,
fosse di bronzo indistruttibile. E dopo averlo così lusingato,
viene alla fine, e con uno spillo da nulla
perfora le mura di quella fortezza, e addio re!
(Shakespeare, Riccardo II, atto terzo)

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