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Ettore Bassi racconta “Il mercante di luce”, martedì al San Giuseppe «e quella volta che Vecchioni mi ha abbracciato commosso»

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Ettore Bassi racconta “Il mercante di luce”, martedì al San Giuseppe «e quella volta che Vecchioni mi ha abbracciato commosso»

L’appuntamento è fissato per martedì 28 febbraio al teatro San Giuseppe, quando alle ventuno si spegneranno le luci e si alzerà il sipario su “Il Mercante di Luce”, spettacolo a cui abbiamo avuto modo di introdurre pubblico e lettori nel numero della scorsa settimana. Inserito nella rassegna Fuori Pista e tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Vecchioni, vincitore del premio Cesare Pavese 2015, nella sua trasposizione teatrale il protagonista è interpretato dall’attore Ettore Bassi, con cui abbiamo avuto l’opportunità di discutere di questa sceneggiatura.

Come descriverebbe il personaggio che interpreta, Stefano Quondam?
Come lo descrive Roberto Vecchioni. Un uomo pieno di fallimenti, che si confronta con una vita che gli ha riservato sofferenza, ma allo stesso tempo capace di avere col figlio un rapporto pieno di poesia e di bellezza.

Un rapporto padre e figlio che si allontana dall’abusato cliché del conflitto vicendevole, una reinterpretazione di questo inscindibile legame nella sua versione più dolce.
Esatto, questo è un rapporto di amore, di accompagnamento ma anche di nutrimento. Perché alla fine anche il padre Stefano scoprirà che in realtà colui che porta con sé la luce è suo figlio, Marco.

È stato difficile mettere in scena la storia tratta da un romanzo? Chi ha letto il libro, si è fatto la propria interpretazione personale, che potrebbe venire disattesa sul palcoscenico.
No, non è stato difficile, ognuno sceglie la sua via. Non c’è una regola né nulla di predefinito nell’interpretazione di una storia. La qualità della scrittura e di ciò che si racconta fa la vera differenza.

Lei è padre di tre figlie, interpretare il ruolo di padre, ma di un maschio, è stato qualcosa di nuovo per lei?
Direi di no, essere padre di maschi o di femmine credo cambi poco, è comunque un rapporto tra genitore e figlio.

Lo spettacolo viene presentato anche come una riflessione sull’esistenza. Ma abbiamo ancora tempo, oggi, per tali riflessioni?
Troppo poco, siamo sballottati da una parte e dell’altra nella vita di tutti i giorni e, mi viene da dire, a volte questo accade proprio per evitare di fermarsi a riflettere sulla propria esistenza. Dovremmo invece riservarci tutti un piccolo spazio di meditazione.

Ricorda cosa le ha detto Roberto Vecchioni, quando ha visto lo spettacolo per la prima volta?
Certo, anche perché aveva scelto di godersi la prima senza aver mai visto neanche un minuto di prove. Ricordo che sorridendo, mi disse che credeva fossi troppo giovane per questo ruolo. Invece poi, commosso, mi ha abbracciato rivelandomi che non immaginava di avere scritto cose così intense.

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