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Carcere, un avvento per ricominciare a vivere

Comunità Pastorale

Carcere, un avvento per ricominciare a vivere

Il gesto di solidarietà 2013 per l’Avvento della Comunità pastorale Epifania del Signore è dedicato al ritorno alla vita di chi ha scontato una pena in carcere, attraverso il finanziamento di borse lavoro.

Per appronfondire il tema abbiamo chiesto a don Daniele Turconi, vicario parrocchiale di San Carlo, che da alcuni anni fa accompagnamento spirituale al carcere di Monza di introdurci ad alcuni nodi di questo ambito.

Qual è il ruolo del carcere oggi?
Come afferma la stessa costituzione, il carcere dovrebbe essere rieducativo, cioè aiutare la persona a comprendere il proprio sbaglio e a correggere il proprio modo di vivere in modo da non cadere più nell’errore fatto. Ma la rieducazione non è fatta solo di buone idee e di buone intenzioni. Perché tutti capiscono lo sbaglio fatto e quasi tutti desiderano sul serio cambiare vita. Ma ci vuole “una struttura di vita” che sostenga questa opera educativa. Al di là delle belle parole e anche delle leggi buone che ci sono, la società non gestisce il carcere come luogo educativo, ma come luogo punitivo. Basta vedere i numeri: nel carcere di Monza ci sono 800 detenuti, 350 agenti di custodia che non hanno compito educativo, ma solo di impedire l’evasione e far osservare le regole della detenzione, ma per contare il numero di educatori, assistenti sociali, psicologi, bastano le dita di due mani.

La punizione per un reato commesso, piccolo o grande, dunque, come unica via percorribile.
La sofferenza imposta come “giusta” punizione della colpa “non recupera i colpevoli, al contrario in essi scatena i peggiori istinti dell’uomo, aggressività e rabbia, odio e vendetta, violenza e spietatezza. Il dolore evitabile, anche se legalizzato, inflitto per forza, difficilmente rende migliore l’uomo”. (card. Martini, convegno europeo cappellani carceri, Vienna 1987).
Eppure in carcere ci sono sono persone. Anzi persone che possono anche “sfruttare” l’errore fatto per diventare migliori di chi non ha mai sbagliato. La parabola del figliuol prodigo dice proprio questo

Che vita è quella del carcere?
Il carcere, così com’è, a lungo andare uccide la persona. E’ una constatazione che io faccio tutti i giorni, la vedo sui volti delle persone, la sento nella voce, nelle capacità e nei desideri che scemano, nelle speranze che cadono… Non è necessario pensare che ci sia qualcuno sadicamente, diabolicamente propenso a seguire qualche disegno di annientamento. Questo, in un’istituzione così concepita, avviene nei fatti ed è il più micidiale delitto che si possa compiere sull’uomo: Siamo di fronte all’annientamento della persona. La persona si può annientare non solo con gesti cattivi o violenti, ma anche con lo stillicidio continuo di rifiuti, di negazioni, di imposizioni, di riduzioni alla dipendenza. Chiunque abbia un po’ di buon senso deve condividere che questa non è vita.

Che cosa trova un giovane quando esce dal carcere?
Bisogna considerare il fenomeno della “recidiva”. Il 70% dei detenuti rientra in carcere perché ricade nello stesso reato. Come se in un ospedale rientrasse il 70% dei suoi malati per la stessa malattia. A che serve un ospedale del genere? Perché rientrano? Perché sono cattivi e incorreggibili? Forse.
Ma domandiamoci: se un giovane esce e non trova lavoro (chi si fida ad assumere uno che è stato in galera?), non ha amici se non quelli della “banda” (quale gruppo oratoriano accoglierebbe un ex-detenuto? Scatta subito la psicosi della mela marcia), spesso non ha più neanche la famiglia che ormai l’ha cancellato dallo stato di famiglia… cosa può fare? E’ solo colpa della sua cattiveria se lo ritroviamo in carcere dopo qualche mese?

In questo percorso di rieducazione come si inserisce anche la Comunità cristiana?
Dobbiamo cominciare questa riflessione chiedendoci quanta responsabilità hanno anche le parrocchie e gli oratori nell’isolamento dei detenuti una volta scontata la pena.
Il Buon Pastore va a cercare la pecora smarrita. Qui invece la pecora smarrita torna da sola, ma si fa finta di non vederla e si spera con tutto il cuore che non entri nell’ovile a turbare la vita delle pecore buone.
Possibile che non ci sia un locale nella parrocchia che possa essere adibito a mini alloggio per quel parrocchiano che esce dal carcere e non sa “dove posare il capo”? Perché insieme ai gruppi sportivi, turistici, ricreativi, culturali… la parrocchia non si impegna a fondare e a sostenere anche finanziariamente una cooperativa di lavoro per giovani in difficoltà?
Sono provocazioni! Ma non siamo discepoli di uno che era “amico dei peccatori”? e che ha detto: “nel Regno di Dio i ladri e le prostitute sono davanti a voi”?

 

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