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Motta campione di Svizzera. Una carriera nel volley ad alto livello

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Motta campione di Svizzera. Una carriera nel volley ad alto livello

Professore di giorno, allenatore di sera. È questo la doppia vita di Mario Motta, insegnate di educazione fisica alla scuola media Kennedy e allenatore del Volley Lugano, squadra che milita nella massima serie di pallavolo elvetica e fresco vincitore della Coppa di Svizzera. Lezioni con i ragazzini delle medie al mattino e poi via, un’ora di macchina con destinazione Lugano per allenare i professionisti del volley svizzero. Una carriera piena di soddisfazioni per Motta, che dopo aver centrato diverse qualificazioni in A2, e dopo aver provato l’emozione di un’Olimpiade, ha accettato all’inizio della stagione di sedersi sulla panchina di un club estero, per la sua prima esperienza fuori dall’Italia. Una carriera piena di soddisfazioni, ma caratterizzata da una costante: la vicinanza alla famiglia. «In tutte le esperienze che ho fatto – ha spiegato Motta – non ho mai voluto allontanarmi da casa. Il centro della mia vita è la famiglia».

 

Professore, come sta andando la stagione con il Lugano?
Stiamo andando molto bene, abbiamo appena conquistatola Coppadi Svizzera, battendo per 3-0 Amriswil. Per gli svizzeri questo è un trofeo molto sentito, si disputa tutto in una giornata a Berna, in un palazzetto fantastico che per è un giorno è il centro del volley nazionale. Appena arrivato, a inizio stagione, il capitano mi disse che quest’anno voleva vincere questo trofeo. Ora, dopo aver vinto la prima fase di campionato, puntiamo alla finale scudetto. L’obiettivo iniziale era di vincere qualcosa, la società sta investendo da tempo e quindi siamo in linea con le attese.

 

Cosa l’ha spinta ad accettare la chiamata svizzera?
Ho sempre avuto la curiosità di provare un’esperienza all’estero, e di certo la distanza da Lugano non è proibitiva. Quando ho ricevuto la chiamata ho visto che c’erano i margini per poter fare buone cose, poi la voglia di scoprire una nazione diversa, anche culturalmente, ha fatto il resto. Sono riuscito a portare con me anche Marco Camperi, mio collaboratore storico e persona molto competente. Non è facile, perché il tempo libero è praticamente azzerato, ma la famiglia mi supporta e devo dire che sono contento della scelta che ho fatto.

 

Nella sua carriera sono numerose le promozioni, ma qual è stato il momento più soddisfacente?
Senza dubbio l’esperienza con la nazionale, in particolare l’Olimpiade di Pechino del 2008. Per chi vive di sport entrare nel Nido d’Uccello, con gli occhi del mondo addosso è senza dubbio un momento fantastico. La vita con la nazionale è dura, ma l’Olimpiade era una motivazione molto forte.

 

Ha mai pensato di lasciare la scuola per dedicarsi solo al volley?
Quando è arrivata qualche offerta interessante ho tentennato, ma ammetto che il pensiero è durato lo spazio di pochi minuti. Mi piace troppo insegnare e soprattutto non voglio allontanarmi da casa.

 

Un aspetto che lega i due ruoli.
Penso che a tutti i livelli, dai ragazzi ai professionisti, sia fondamentale il rispetto per le persone. Quando lo dai, lo ottieni. E poi scuola e pallavolo sono le mie principali passioni, e quando metti la passione questo viene riconosciuto.

 

È più difficile gestire una classe o una squadra?
Dipende, a volte anche con i professionisti capita di imbattersi in atteggiamenti contro cui bisogna lottare in modo deciso per salvaguardare il gruppo. Stessa cosa vale per una classe, ma tutto dipende dalla chimica che si instaura nel gruppo. Devo dire comunque, che salvo casi sporadici non ho mai avuto difficoltà.

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